M. Calloni.
Gangemi, 2017
Contrariamente a ciò che era stato sostenuto durante il Novecento da parte di filosofie della storia di tipo teleologico, da ideologie politiche di carattere evolutivo e da ricerche sociali fondate sul materialismo storico, non solo la religione non è stata superata con l'inizio del nuovo Millennio, bensì ha acquisito un ruolo sempre più preminente nel dibattito pubblico mondiale, tanto in democrazie liberali, quanto in Paesi in transizione o in guerra. A politiche di tolleranza inter-religiosa si sono quindi affiancate dottrine per la legittimazione di conflitti armati, che impongono una diversa riflessione pubblica e teorica sul rapporto esistente fra religioni rivelate e violenza armata nell'età globale. Nel presente contributo, ciò che intendo indagare è l'affermazione delle cosiddette nuove guerre connesse a fondamentalismi religiosi, che si differenziano molto dai tradizionali conflitti bellici, così come concepiti, regolati e combattuti fino alla fine del secolo scorso da parte di Stati nazionali o da coalizioni internazionali. Per questo, mi soffermerò sul mutamento politico delle tradizionali concezioni di ius ad bellum e di ius in bello (solitamente riferite a relazioni internazionali), a causa dell'affermarsi del jihadismo armato e delle conseguenti strategie di contrasto. Il contributo che intendo offrire al dibattito in corso su religione, fondamentalismo e violenza, consiste nel ripensamento del tradizionale concetto di guerra, alla luce delle conseguenze che il terrorismo di matrice islamica ha sulla vita quotidiana di milioni di persone a livello planetario.
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